Friday, January 22, 2010

BE ITALIAN

"per le persone che se ne vogliono andare dall'Italia...fatelo ...ce ne faremo una ragione..qualche comunista in meno non farebbe male alla nostra democrazia...". Così esordisce un "democratico" signore che non conosco ma che condivide con me l'appartenenza a un Gruppo contro la Mafia e contro Berlusconi. Io - che sono uno sporco comunista - gli rispondo che "invece sto qui, giusto per il piacere di fracassargli i coglioni con la mia malefica presenza". E lo invito a fare attenzione a certe affermazioni perchè l'odio genera odio e non vorrei mai che si trovasse lui nella condizione di desiderare l'esilio". Oggi a me, domani a te. Detto questo, è innegabile che in Italia l'aria sia alquanto pesante. E non mi riferisco -per una volta - al discutibile quotidiano governativo. Ma alle cose che accadono a pelo strada. Vengo al dunque. E' mattina e sono in auto che vado verso l'ufficio. Con la radio accesa. Sintonizzata su un grande circuito nazionale. Di quelli in cui la mattina, con aria salottiera, si parla di più e del meno. C'è una notizia lanciata nell'etere e vispi individui che prendono in mano la cornetta del telefono e commentano, giudicano, interpretano e giudicano di nuovo. Questa mattina si parla di una coppia "alla frutta". Nulla di originale. Credo che il 99% delle persone che conosco - me compreso - abbia vissuto in prima persona questa situazione almeno una volta nella vita. Questa coppia ha una figlia, piccola, di tre anni circa. Come molte "coppie alla frutta" capita che si vada a tagliar legna fuori dal bosco. E quindi succede che la signora viene spiata dal marito mentre esce da un motel accompagnata. D'altra parte il "marito" non se la prende più di tanto. Lui infatti, da qualche tempo passa le sue serate in compagnia di un amico con cui non gioca a carte e non va a puttane. Perchè i due amici si tengono compagnia sotto le lenzuola. Scandaloso? Non direi... Abbiamo vasta letteratura sull'argomento compreso un film sulle "montagne spaccaschiena" che ha commosso milioni di italiani su due improbabili cowboy che si "fanno compagnia". Ma qui non siamo nel modernissimo Wyoming. Siamo in Italia. E in Italia certe cose non si fanno. Ci si scandalizza. Si telefona. Si insulta. Si condanna in diretta. Senza alcuna esitazione. Parte il primo tuono:"sciagurati, indegni di essere genitori, immorali e così via". Ma perchè prendersela con tutti e due i "colpevoli": in fondo il colpevole è solo uno, uno di quei tanti "froci padri di famiglia che di notte escono di casa per farselo pantare nel culo". Un linguaggio chiaro ed efficace. In linea con le autoregolamentazioni radiotelevisive da fascia protetta. E la discussione ormai incandescente si conclude con uno straordinario esegeta del sociale che deduce che la "povera bambina è destinata sicuramente a fare una brutta fine". Perchè oltre a dar per scontato che, come insegna la storia, i figli pagano le colpe dei padri, è evidente che gli immoralissimi genitori si premureranno di raccontare, di ritorno dai loro comizi fedifraghi, ogni particolare piccante alla figlioletta. Per amore di chiarezza appunto. Lo speaker alla fine si limita a riscontrare che "in effetti certe situazioni in Italia fanno ancora fatica a passare". Io direi che non passano proprio, a meno che non passino sotto silenzio. Passano gli scambisti con i loro club, i politici che pippano coca e vanno con i trans e i padri che "prendono un po' d'aria e qualcosa d'altro nel cuore della notte". Probabilmente molti di loro (i padri per definizione) hanno figli. Che non sanno niente e nella loro beata incoscienza crescono sani e forti. Sopravvivono a separazioni, nuovi amori di ogni qualità e quantità. Perchè se ne fottono. Perchè in quanto figli non sono per niente interessati alla sfera sessuale dei genitori. Perchè chiedono solo di essere amati e aiutati a stare al mondo. E se vedono un briciolo di felicità, di ogni qualità e quantità negli occhi di papà e mamma, automaticamente per loro il mondo sarà un po' più bello, un po' più facile. Senza farsi troppe domande su morale, pudore e cose "da grandi". Chissà in quale momento della loro vita cominceranno a scandalizzarsi, a discriminare, a odiare e a telefonare alle radio per "farsi sentire"? Quando si traccia la linea tra il "per bene" e il "per male"? In sintesi, a che età si diventa stronzi? A che età si fanno propri concetti quali "troia", "bastardo" o "frocio" che esistono solo nell'occhio altrui?
Non so.
Però su una cosa alla fine mi sono trovato d'accordo con i veementi radioascoltatori. I peccaminosi amanti sono effettivamente irresponsabili. Non per le loro tumultuose prodezze sessuali. Me perchè non so se io, nella loro condizione, mi sarei permesso di mettere al mondo una figlia ponendo l'incoscienza dell'amore davanti alla razionalità di una fredda e sicura pianificazione. Avendo per di più la presunzione che lo stesso incosciente amore di madre e padre fosse più importante di qualsiasi evoluzione della coppia.
Si, a mettere al mondo i figli in un mondo del genere bisogna proprio essere incoscienti. E talmente egoisti da scegliere, al mattino presto, di restare a far l'amore al posto di accendere la radio. Come da sempre fanno i comunisti che, come tutti sanno, i bambini poi li mangiano.

Saturday, January 16, 2010

MAGNOLIA

18 gennaio 2010, Ore 00:37- Matteo, Lupo e Dafina arrivano alla casa del perdono. Fa freddo. Non si guardano neppure. Tutti cercano la chiave per aprire la porta. Tutti sanno perchè sono li ma cercano un motivo profondo che li convinca a restare. Non c'è. Ma nessuno osi girare i tacchi. Ecco il motivo. L'odio. Che serpeggia tra gli arbusti di una notte che dovrebbe essere catartica ma che ha l'odore fetido dello sprofondo. Una notte che, con sfumature diverse, somiglia ad ognuno di loro. Somiglia a Matteo. L'uomo tradito e ingannato. L'uomo del silenzio. L'uomo che da tre anni coltiva meticolosamente la paura. L'uomo che è solo e pietrificato. Che vive per il lavoro, per gli abiti nobili. L'uomo abbandonato da donne, parenti e amici. Senza riscattto ne redenzione. Ma la notte somiglia anche a Lupo. Un uomo mancato e un bambino rinnegato. Avvelenato dalla propria mediocrità. Un perdente nel mondo in cui per perdere è sufficiente arrivare secondo. E poi Dafina. La patetica Dafina. Anche lei abbandonata. Strizzata nel suo cappottino muschioso e dozzinale. La donna del mal di testa. Debole e stridente. Lupo apre la porta. La porta della casa del perdono. La porta della trasformazione. E c'è un primo risultato. Tutti trovano il motivo. Quello per cui sono li. Devono fare i conti con se stessi. Un piccolo passo di quel cammino terapeutico sulla linea di confine con la follia per guarire. Niente è casuale. A partire dal gruppo di autoaiuto che li accomuna. A partire dal giorno. Un lunedi appena iniziato, che in teoria inaugura una nuova settimana di quelle, che secondo il terapeuta, cambieranno la vita. Ma la vita è più forte e loro sono così deboli. Tanto deboli da trascinare a fatica le pesanti valige all'interno della casa. Sono valige da svuotare. Piene di doni. E si comincia da lunedi a donare. C'è qualcosa per ognuno di loro. Ogni dono è un atto di contrizione, di recupero di umanità. E' un perdono da chiedere. Non si sono ancora guardati. Non si sono valutati ma non vuol dire che non si conoscano. Si conoscono molto bene. Hanno condiviso per anni lo stesso ufficio e per anni si sono riservati quelle piccole quotidiane torture degli uomini piccoli chiusi in gabbia. Piccoli peccatori veniali che giorno dopo giorno diventano belve da combattimento. E quando la carne finisce e rimane l'osso c'è l'urgenza della utopica quanto indispensabile reincarnazione. Giusto per non morire. E gisuto per non morire nella casa del perdono è opportuno recuperare un po' di sonno.

18 gennaio 2010, Ore 07:30- Colazione, meditazione, azione. Parole basse e grevi. poche parole. Nella grande stanza che dall'esterno sembra magnetizzare la nebbia che cela attenzione e intenzione. Non una condizione che non sia avversa. Ma il rituale del perdono deve avere inizio. E Dio solo sa quanto Matteo, Lupo e Dafina siano scrupolosi e monolitici nella loro volontà di fare di tutto per ottenere ciò che vogliono. Devono sperimentarsi nell'amore. Si guardano negli occhi. Intensamente. si leggono a vicenda. Piano arriva la voglia di una carezza. I visi pietrificati acquistano luce. Le parole, poche, glaciali e sputate diventano fluide e calde. Perchè in quella casa si ritorna ad amare. Lentamente. Come il tempo che se nessuno lo misura sembra fermarsi. E se il tempo si ferma, si ferma l'attesa. Scompare l'ansia e si entra in un limbo placido e rassicurante. E' la casa del perdono "già previsto" e pertanto non c'è nulla, davvero nulla da temere. Non è nemmeno necessario esplicitare il motivo per cui si chiede la redenzione. Ognuno sa perfettamente ciò che ha fatto. Ognuno sa perfettamente cosa bisogna fare. Dare un oggetto, un simbolo o una semplice preghiera. Dafina ha due fiori di magnolia in una sfera di vetro. Uguali perchè il dolore inflitto prescinde dalla causa. Matteo ha una bottiglia di vino, Chateau Margaux del 2003, per Lupo. forse un dono un po' troppo formale per una richiesta di perdono o per un atto d'amore. Ma non è ancora il caso di lasciarsi andare per chi ha paura di perdere la dignità di fatto già persa da tempo.C'è anche una spilla. Antica e indiana. Una fenice rosso rubino. Pregna di significati fin troppo ovvi. Ma per Dafina va bene così. E' comunque un dono. Ed è comunque amore. Debole e malato ma pronto a risorgere. E' tutto. Quello che c'è adesso ed è sufficiente. Non servono parole. Bastano piccoli gesti. Sguardi leggeri. Sorrisi abbozzati e incompiuti. Qui non si chiede l'armonia lisergica. Basta un piccolo gesto e tutto il resto accade facile come una reazione a catena. Sospesa in un tempo sospeso. E i cuori, intanto, cominciano a sciogliersi.

18 gennaio 2010, Ore 13:30 - Un pranzo frugale per un giorno che non decolla. Ma la sensazione di mondo lasciato fuori dalla casa del perdono crea un'atmosfera di rarefatta intimità. In cui si inserisce perfettamente la modestia e tutto il resto, compreso quell'arredamento così essenziale a ricordare che la redenzione dal peccato non necessita di orpelli. Per riempire l'aria basta lasciare scivolare le parole, agire di istinto e con istinto rinnovato. Non c'è più lo spazio del conflitto ma l'errare alla ricerca di una flebile e sussurrata armonia. Queela di un fiore di magnolia, bianco e nobile ma tuttavia evocativo di grazia perfetta. quella di una fenice metallica nata da un passato incenerito per ritrovare la carezza del vento dell'amore. Quella del vino sanguigno e sacrale. Arcano suggello dei patti tra gli uomini. In questo gioco-non-gioco di ricostruzione e reinvenzione. E ci sono nuovi sorrisi. Carezze apparentemente casuali. Contatti fisici e sfioramenti che sgombranno il campo da ogni sospetto di artificiale e artificioso.

18 gennaio 2010, Ore 16:30. Altro peccato, altro regalo. In questo gioco non gioco è ora di riprendersi in mano la vita per una nuova espiazione. L'aria torna rituale. Torna il silenzio. Dovuto. Ognuno infatti sa di avere qualcosa da perdonare o una colpa da espiare ma non è dato sapere quale. Il tempo già fermo rallenta ulteriormente e si liquefa come gli sguardi nelle tazze di te' nero. E' il nuovo momento liturgico del dono. Lupo guarda con occhi misericordiosi Dafina e le porge un cristallo di rocca. E' la trasparenza solidificata. L'onestà fatta pietra. La promessa di un sentimento nuovo. Lo stesso cristallo lo porge a Matteo. E stavolta è un sigillo, il diamante che appare tra le rocce sporche e arrugginito. Anche Matteo ha qualcosa per Lupo. E' una penna Cherokee. Per leggere il vento che porta via il passato e lo cancella Definitivamente. Per Dafina c'è una sciarpa. Che prescinde da ogni significato ma che alle inconsistenti intenzioni sostituisce la concretezza di un gesto d'amore. Per quel cordpo esile e spettrale. Dafina dal canto suo porge a Matteo e Lupo una sfera di cristallo illuminata di luce blu. Dentro c'è l'oceano e c'è anche il sole. Un universo formato tascabile che suggerisce di guardare oltre le piccole nefandezze delll'animo umano. Matteo, invece, sceglie due poesie. Shelley. Le legge piano. Con modulato trasporto. Rallentando il ritmo. Abbassando la voce fino a farla diventare un sussurro leggero. E poi il silenzio. Di nuovo. E i pensieri. Le preghiere di ringraziamento per questo stravagante nirvana d'inverno così semplice e pertanto incredibile.

18 gennaio 2010, Ore 20:30 - Dafina parla al telefono, piange. Piange forte. Si accovaccia in un angolo e non riesce più a parlare se non attraverso striduli singhiozzi. Si è rotto qualcosa.

18 gennaio 2010, Ore 21:00 - Dafina sta ancora piangendo. Lupo fuma nervosamente bevendo rhum e agitando nella mano la sfera con l'oceano dentro. La sfera cade. Lupo resta immobile e paralizzato.

18 gennaio 2010, Ore 21:15 - Dafina urla, Matteo la stringe, la accarezza e tenta di calmarla. Invano. Ma la giornata sta per finire ed è necessario recuperare quel minimo di calma necessario per la terza espiazione.

18 gennaio 2010, Ore 22:30 - Respiri profondi, occhi chiusi, massaggi alle tempie. Ma è ora di finirla con la messinscena. E' ora di concedersi e concedere la finale assoluzione. Il tempo ricomincia a fluire. Corre veloce. Dafina consegna tremante una busta a Lupo. Senza aprirla Lupo la palpa e ne riconosce il contenuto. Anche Lupo ha una busta di tela. Apre la busta di Dafina e ne estrae un proiettile freddo e luccicante. Un proiettile che subito si introduce in una pistola e corre alla velocità della luce in mezzo agli occhi di Matteo. In pochi secondi le mani misericordiose e carezzevoli abbandonano la pistola per abbracciare il collo di Dafina fino ad assaporarne l'ultimo respiro. Prima di chiudere la casa del perdono e lanciarsi a tutta velocità nel vuoto.

Perchè l'unico, grande, perdono possibile, nel mondo degli uomini piccoli, è regalare la definitiva impossibilità di doverlo ancora implorare.

Saturday, January 02, 2010

COME STANNO LE COSE

C'è un momento per guardarsi allo specchio. C'è un momento per capire che tutte le cose come l'amore, la vita a cui, per tutta la vita abbiamo cercato di dare un nome hanno un senso proprio perchè un nome non l'hanno mai avuto. C'è una ruga in più e non c'è la voglia di cancellarla. Perchè tutto è esattamente come dovrebbe essere. O forse non lo è, ma è importante pensare che lo sia perchè possiamo cambiare molto ma non tutto. E c'è quella vita che fino in fondo non capiremo mai. E adesso basta con l'impersonale. Sto parlando di me. Sono io. E sono qui perchè questo primo scritto d'inizio anno lo dedico a me stesso. E alle persone che sono con me in questo momento in questa passeggiata sotto il sole d'inverno. Quelle che hanno attraversato il mio inferno e continuano ad amarmi. Quelle che avendolo visto sono scappate. Quelle che hanno visto le mie emozioni che faccio così fatica a raccontare. Le cose stanno così. E non le voglio più cambiare. Non è più tempo di eroi. Quelli sepolti sotto la neve sono morti. Non è più tempo di fantasmi. I fantasmi sono lo specchio di una vergogna che non ho. Non c'è più bisogno di clandestinità e di vite inventate. C'è giusto il tempo di costruire la mia, di vita. Non è più tempo di correre, perchè correndo si perdono i dettagli e le emozioni. Arrivare da soli al traguardo non ha senso. Meglio camminare, magari con qualcuno a cui tenere la mano. Perchè se per caso si sbaglia strada, è più facile correggere la direzione. Dando un tempo al tempo. E decidere di abbandonare, per sempre, le strade chiuse. Quelle delle vite inventate che per fortuna non esisteranno mai. E ringraziare il cielo di non averle mai percorse a folle velocità e di evitare lo schianto. Apro gli occhi. Abbraccio il piccolo e insano David che mi è stato vicino contro ogni ragionevole probabilità e tutti i piccoli David che ancora oggi sono dalla mia parte. Contro ogni senso, probabilità e ragione. E adesso è tempo di una doccia veloce, di una maglietta buttata nella prima borsa e di prendere un treno per andare in quel posto misterioso e incerto dove le cose stanno così come è giusto che siano.