Saturday, January 16, 2010

MAGNOLIA

18 gennaio 2010, Ore 00:37- Matteo, Lupo e Dafina arrivano alla casa del perdono. Fa freddo. Non si guardano neppure. Tutti cercano la chiave per aprire la porta. Tutti sanno perchè sono li ma cercano un motivo profondo che li convinca a restare. Non c'è. Ma nessuno osi girare i tacchi. Ecco il motivo. L'odio. Che serpeggia tra gli arbusti di una notte che dovrebbe essere catartica ma che ha l'odore fetido dello sprofondo. Una notte che, con sfumature diverse, somiglia ad ognuno di loro. Somiglia a Matteo. L'uomo tradito e ingannato. L'uomo del silenzio. L'uomo che da tre anni coltiva meticolosamente la paura. L'uomo che è solo e pietrificato. Che vive per il lavoro, per gli abiti nobili. L'uomo abbandonato da donne, parenti e amici. Senza riscattto ne redenzione. Ma la notte somiglia anche a Lupo. Un uomo mancato e un bambino rinnegato. Avvelenato dalla propria mediocrità. Un perdente nel mondo in cui per perdere è sufficiente arrivare secondo. E poi Dafina. La patetica Dafina. Anche lei abbandonata. Strizzata nel suo cappottino muschioso e dozzinale. La donna del mal di testa. Debole e stridente. Lupo apre la porta. La porta della casa del perdono. La porta della trasformazione. E c'è un primo risultato. Tutti trovano il motivo. Quello per cui sono li. Devono fare i conti con se stessi. Un piccolo passo di quel cammino terapeutico sulla linea di confine con la follia per guarire. Niente è casuale. A partire dal gruppo di autoaiuto che li accomuna. A partire dal giorno. Un lunedi appena iniziato, che in teoria inaugura una nuova settimana di quelle, che secondo il terapeuta, cambieranno la vita. Ma la vita è più forte e loro sono così deboli. Tanto deboli da trascinare a fatica le pesanti valige all'interno della casa. Sono valige da svuotare. Piene di doni. E si comincia da lunedi a donare. C'è qualcosa per ognuno di loro. Ogni dono è un atto di contrizione, di recupero di umanità. E' un perdono da chiedere. Non si sono ancora guardati. Non si sono valutati ma non vuol dire che non si conoscano. Si conoscono molto bene. Hanno condiviso per anni lo stesso ufficio e per anni si sono riservati quelle piccole quotidiane torture degli uomini piccoli chiusi in gabbia. Piccoli peccatori veniali che giorno dopo giorno diventano belve da combattimento. E quando la carne finisce e rimane l'osso c'è l'urgenza della utopica quanto indispensabile reincarnazione. Giusto per non morire. E gisuto per non morire nella casa del perdono è opportuno recuperare un po' di sonno.

18 gennaio 2010, Ore 07:30- Colazione, meditazione, azione. Parole basse e grevi. poche parole. Nella grande stanza che dall'esterno sembra magnetizzare la nebbia che cela attenzione e intenzione. Non una condizione che non sia avversa. Ma il rituale del perdono deve avere inizio. E Dio solo sa quanto Matteo, Lupo e Dafina siano scrupolosi e monolitici nella loro volontà di fare di tutto per ottenere ciò che vogliono. Devono sperimentarsi nell'amore. Si guardano negli occhi. Intensamente. si leggono a vicenda. Piano arriva la voglia di una carezza. I visi pietrificati acquistano luce. Le parole, poche, glaciali e sputate diventano fluide e calde. Perchè in quella casa si ritorna ad amare. Lentamente. Come il tempo che se nessuno lo misura sembra fermarsi. E se il tempo si ferma, si ferma l'attesa. Scompare l'ansia e si entra in un limbo placido e rassicurante. E' la casa del perdono "già previsto" e pertanto non c'è nulla, davvero nulla da temere. Non è nemmeno necessario esplicitare il motivo per cui si chiede la redenzione. Ognuno sa perfettamente ciò che ha fatto. Ognuno sa perfettamente cosa bisogna fare. Dare un oggetto, un simbolo o una semplice preghiera. Dafina ha due fiori di magnolia in una sfera di vetro. Uguali perchè il dolore inflitto prescinde dalla causa. Matteo ha una bottiglia di vino, Chateau Margaux del 2003, per Lupo. forse un dono un po' troppo formale per una richiesta di perdono o per un atto d'amore. Ma non è ancora il caso di lasciarsi andare per chi ha paura di perdere la dignità di fatto già persa da tempo.C'è anche una spilla. Antica e indiana. Una fenice rosso rubino. Pregna di significati fin troppo ovvi. Ma per Dafina va bene così. E' comunque un dono. Ed è comunque amore. Debole e malato ma pronto a risorgere. E' tutto. Quello che c'è adesso ed è sufficiente. Non servono parole. Bastano piccoli gesti. Sguardi leggeri. Sorrisi abbozzati e incompiuti. Qui non si chiede l'armonia lisergica. Basta un piccolo gesto e tutto il resto accade facile come una reazione a catena. Sospesa in un tempo sospeso. E i cuori, intanto, cominciano a sciogliersi.

18 gennaio 2010, Ore 13:30 - Un pranzo frugale per un giorno che non decolla. Ma la sensazione di mondo lasciato fuori dalla casa del perdono crea un'atmosfera di rarefatta intimità. In cui si inserisce perfettamente la modestia e tutto il resto, compreso quell'arredamento così essenziale a ricordare che la redenzione dal peccato non necessita di orpelli. Per riempire l'aria basta lasciare scivolare le parole, agire di istinto e con istinto rinnovato. Non c'è più lo spazio del conflitto ma l'errare alla ricerca di una flebile e sussurrata armonia. Queela di un fiore di magnolia, bianco e nobile ma tuttavia evocativo di grazia perfetta. quella di una fenice metallica nata da un passato incenerito per ritrovare la carezza del vento dell'amore. Quella del vino sanguigno e sacrale. Arcano suggello dei patti tra gli uomini. In questo gioco-non-gioco di ricostruzione e reinvenzione. E ci sono nuovi sorrisi. Carezze apparentemente casuali. Contatti fisici e sfioramenti che sgombranno il campo da ogni sospetto di artificiale e artificioso.

18 gennaio 2010, Ore 16:30. Altro peccato, altro regalo. In questo gioco non gioco è ora di riprendersi in mano la vita per una nuova espiazione. L'aria torna rituale. Torna il silenzio. Dovuto. Ognuno infatti sa di avere qualcosa da perdonare o una colpa da espiare ma non è dato sapere quale. Il tempo già fermo rallenta ulteriormente e si liquefa come gli sguardi nelle tazze di te' nero. E' il nuovo momento liturgico del dono. Lupo guarda con occhi misericordiosi Dafina e le porge un cristallo di rocca. E' la trasparenza solidificata. L'onestà fatta pietra. La promessa di un sentimento nuovo. Lo stesso cristallo lo porge a Matteo. E stavolta è un sigillo, il diamante che appare tra le rocce sporche e arrugginito. Anche Matteo ha qualcosa per Lupo. E' una penna Cherokee. Per leggere il vento che porta via il passato e lo cancella Definitivamente. Per Dafina c'è una sciarpa. Che prescinde da ogni significato ma che alle inconsistenti intenzioni sostituisce la concretezza di un gesto d'amore. Per quel cordpo esile e spettrale. Dafina dal canto suo porge a Matteo e Lupo una sfera di cristallo illuminata di luce blu. Dentro c'è l'oceano e c'è anche il sole. Un universo formato tascabile che suggerisce di guardare oltre le piccole nefandezze delll'animo umano. Matteo, invece, sceglie due poesie. Shelley. Le legge piano. Con modulato trasporto. Rallentando il ritmo. Abbassando la voce fino a farla diventare un sussurro leggero. E poi il silenzio. Di nuovo. E i pensieri. Le preghiere di ringraziamento per questo stravagante nirvana d'inverno così semplice e pertanto incredibile.

18 gennaio 2010, Ore 20:30 - Dafina parla al telefono, piange. Piange forte. Si accovaccia in un angolo e non riesce più a parlare se non attraverso striduli singhiozzi. Si è rotto qualcosa.

18 gennaio 2010, Ore 21:00 - Dafina sta ancora piangendo. Lupo fuma nervosamente bevendo rhum e agitando nella mano la sfera con l'oceano dentro. La sfera cade. Lupo resta immobile e paralizzato.

18 gennaio 2010, Ore 21:15 - Dafina urla, Matteo la stringe, la accarezza e tenta di calmarla. Invano. Ma la giornata sta per finire ed è necessario recuperare quel minimo di calma necessario per la terza espiazione.

18 gennaio 2010, Ore 22:30 - Respiri profondi, occhi chiusi, massaggi alle tempie. Ma è ora di finirla con la messinscena. E' ora di concedersi e concedere la finale assoluzione. Il tempo ricomincia a fluire. Corre veloce. Dafina consegna tremante una busta a Lupo. Senza aprirla Lupo la palpa e ne riconosce il contenuto. Anche Lupo ha una busta di tela. Apre la busta di Dafina e ne estrae un proiettile freddo e luccicante. Un proiettile che subito si introduce in una pistola e corre alla velocità della luce in mezzo agli occhi di Matteo. In pochi secondi le mani misericordiose e carezzevoli abbandonano la pistola per abbracciare il collo di Dafina fino ad assaporarne l'ultimo respiro. Prima di chiudere la casa del perdono e lanciarsi a tutta velocità nel vuoto.

Perchè l'unico, grande, perdono possibile, nel mondo degli uomini piccoli, è regalare la definitiva impossibilità di doverlo ancora implorare.

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