Thursday, November 30, 2006

STROBO - capitolo 1

DEL DOMANI NON V’E’ CERTEZZA

…eppure anche oggi il domani è arrivato. Troy è morto ed è uscito il nuovo disco degli U2. Una brutta notizia e una bella: palla al centro. C’è qualcuno nel mio letto. C’E’ QUALCUNO?! Perché le vicine di casa, normalmente strafighe e così elevate che non si accorgono mai di te (che devi pure stare attento a non essere calpestato dai chilometrici tacchi a spillo) ti bussano alla porta alle due di notte? In piena crisi di panico e brutte come la protagonista di Shining? Perché le fai dormire nel tuo letto? Loro non te la danno e a te non verrebbe pure in mente di chiedergliela in quelle condizioni. Loro si addormentano fra le lenzuola, tu stai con gli occhi sbarrati e asfittici per via del tasso etilico. Tu il mattino sei uno straccio, loro continuano a dormire. Che lo show abbia inizio. Bagno. Strizzata di punti neri e scrub. Bleaching per i denti. Una tonnellata di crema con dentro i tiranti. Cucina. Una manciata di pillole e una pinta di caffè. Camera. Uno, due,tre. Pantaloni, camicia e qualcosa da mettere sopra. Breve ispezione davanti allo specchio per la verifica dei risultati. Faccio anche più schifo del solito. Mi giro un attimo per ringraziare della notte bianca la creatura che dorme nel mio letto e sbatto la porta mentre esco. Volutamente: così si sveglia e si leva dai coglioni.
Tram, metropolitana con fermata al cesso della stazione per pisciata improvvisa in mezzo a anziani fan della masturbazione ferroviaria preufficio. Naturalmente le odiose gocce di pipì colano sui pantaloni. Copro tutto con la giacca e entro al lavoro. Per il martirio quotidiano. Lavoro, il meno possibile, in una redazione di un settimanale di fitness e mi occupo della svendita di sogni di muscoli guizzanti, depilazione e punti G. Come perdere trenta chili in 20 giorni, come farla godere anche se ce l’hai grosso come quello di un criceto. Se proprio vuoi ti spiego anche come puoi, giusto per la passerella nello spogliatoio, esibire un pirillo elefantiaco. Un destino naturale per chi, come me, ha studiato giurisprudenza. Ho una sola paura, che mi perseguita da tutta la vita. Quella che prima o poi qualcuno mi faccia causa per tutte le cazzate che scrivo sulla rivista. Per questo utilizzo uno pseudonimo. Iosonounopseudonimo. Mi chiamo Lucrezia De Scalzi, all’anagrafe Geronimo Bartoli. Accendo il mio computer e parte la mano sulla tastiera (melasaròlavatadopoaverpisciato?). “Troy e l’arte di un cadavere da urlo”. Non un filo di pancia, un abbronzatura da atollo polinesiano e gli occhi perfettamente sbarrati verso il cielo della luce bluastra dell’obitorio. Uno stile impeccabile, così dovrebbero morire tutti. Ha anche il cazzo duro come il marmo. E’ incredibile come cambiando poche parole un morto disteso all’obitorio sia così simile alla massa di rincoglioniti da palestra di cui narro le gesta. Così non si va avanti. Delete. Massimo risultato, minimo sforzo. “Tu e l’arte di costruirti un fisico da urlo in meno di un mese”. Ci siamo. Vai con le solite tabelle. Sveglia alle sette e una colazione tutta cereali, frutta e un po’ di pillole. Poi via in palestra. Quattro serie di qua e due di la (sempre le stesse da anni ma ordinate in modo casuale). Sauna, bagno turco e massaggio e poi al lavoro. Sono le dieci e trenta a occhio e croce. Ricordati che ogni movimento è fitness, quando non è così è wellness o meglio ancora joy. Poi, a mezzogiorno, l’estetista, lo spinning e l’insalata. Altre due ore di lavoro, il pilates, lo stretching e il beverone iperproteico. Si vede che nella vita non hai un cazzo da fare. Un bel tazzone di latte e poi a dormire. Nel caso ti avanzasse il tempo di scopare lo fai da seduto con lei sopra di te così alleni glutei e polpacci. Finito l’articolo. Tanto alla “fase spinning” ogni lettore sensato (ammesso che un lettore sensato compri la rivista) interrompe la lettura e rimanda il fisico perfetto al mese successivo, che tanto prima di andare in spiaggia c’è ancora tempo.
Le mie colleghe, quelle vere, ci credono un casino. Provano tutto in prima persona (compresi i giochi erotici) e si sentono ogni giorno delle star prima grandezza. Bisogna che le prenda e racconti loro che sotto la luce blu dell’obitorio non c’è trucco che tenga, neppure il mascara 24 ore. Troy, se non altro, se ne è andato senza rompere troppo i coglioni. Di questo bisogna dargli merito. Si dice che se ne stesse chiuso in casa a sniffare coca davanti alla tv. Non proprio gloriosa come vita né come morte. Minchia, chissà se la rompicoglioni se ne è andata. Alzo il telefono chiamo e non risponde nessuno. Ok. La casa è libera. Se tutto va bene dopo pranzo mi fiondo a una conferenza stampa di una casa – pardon, una maison – di cosmetici e alle tre sono libero di farmi una marea di cazzi miei. Amen. Prendo la cartella stampa due foto e la trousse omaggio. Torno di corsa a casa e mi spoglio. Musica a palla. In piedi davanti allo specchio mi impiastriccio la faccia con tutto il contenuto della trousse. Scendo sul corpo. Traccio ampie linee di rossetto sul mio petto e sulle gambe. I miei occhi diventano una maschera nera virata di blu metallico. I pennelli scorrono alla rinfusa tra nuvole di terra cosmetica. Chiudo gli occhi e li riapro velocemente davanti allo specchio. Sono un idolo africano attraversato da una nube radioattiva. Improvviso una danza. Gesti sconnessi. Urlo allo specchio per poi raggiungere il bagno, esausto, e lasciarmi cadere in una vasca di acqua bollente che si tinge si mille colori mentre ritrovo la banalità del mio corpo. I colori se ne vanno, si disperdono nell’acqua, come l’orpello della vita che lascia spazio all’essenza. In qualche modo ho inconsapevolmente celebrato il mio funerale per Troy. Una messinscena tribale e pagana. La chiusura del sipario. Una liberazione, per Troy dalla sua narcotica divinità, per me da un altro pezzo di passato per rituffarmi nel caos di un incerto futuro. Ma aldilà di queste suggestioni psicoreligiose resta un fatto molto più futile, banale e vero. Adoro riempirmi di colore. Ho cominciato a farlo per nascondere i lividi che inconsapevolmente mi procuravo sbattendo a destra e a manca per via di un raro difetto della vista che frammenta la realtà come uno specchio rotto. Un difetto che tuttavia non potevo permettere che limitasse la velocità del movimento. Poi mi sono fatto prendere la mano e il mio corpo è diventato terreno di sperimentazione pittorica. Dipingo il mio corpo e riprendo tutto con una videocamera. Quando lo faccio è come se facessi emergere i mille attributi della mia personalità. Recupero una primordialità istintiva e erotica. Cado in una sorta di estasi e comincio a muovermi dipingendo l’aria. Sono libero e sono il caos. Sono ciò che chiunque neanche nelle notti più febbricitanti sia mai riuscito a sognare.
L’estetica dell’antiestetica. La vera rottura degli schemi, privata e ad uso e consumo di me stesso. Ogni volta sto meglio, Ogni volta viene meglio. Ogni volta vengo meglio. Sono eterosessuale ma solo da un punto di vista tecnico e statistico. Nel senso che da anni mi capita solo di scopare con donne. In passato, nel sesso, ho sperimentato di tutto, sono stato uomo, donna, ermafrodita, puttana. Tutto ciò mi ha permesso di decidere la mia identità di genere. Un maschio relativo. Un’identità che mi viene confermata dagli eventi, costruita per forza d’inerzia, come un dado che rotola sul tappeto verde e alla fine rende visibile solo una faccia. Quella giusta. Finché qualcuno non lo riprende in mano e lo lancia nuovamente in balia della sorte. Tanto la faccia che rivelerà sarà comunque giusta.
Rispetto a tempo fa scopo molto meno, forse perché con tutto questo occuparmi delle scopate ginniche altrui ne ho quasi la nausea. Forse perché questa mia mobilità è talmente destabilizzante da presagire una possibile incapacità di corretta stimolazione del punto G. Forse perché col passare del tempo mi diverto molto di più a masturbarmi che a mettere in piedi tutte quelle messinscene da film porno. Forse perché nel mio letto albergano sempre troppe donne disperate e, di conseguenza, alcolizzate. Pensieri che si dissolvono velocemente nell’acqua che vorticosamente scende nelle viscere delle città e mi lascia con la pelle nuda e arrossata contro il marmo bianco e chirurgico della vasca da bagno. Torno alla masturbazione. Ottima idea. Parto piano. Poi veloce. Sempre più forte. Vengo. Non ho voglia di pulirmi. Le cose stasera le lascio come stanno. Diciannove e trenta. Spengo la musica. Non ho fame e quindi non mangio. Cazzo. Ho urtato con la testa lo spigolo dell’anta dell’armadio. La mia stramaledetta vista mi ha tradito di nuovo. La mia testa sembra una di quelle sfere di specchi che riflettono la luce in mille direzioni nelle discoteche. Sono esausto. Mi butto nel letto che puzza ancora di sbronza. Ciao Troy, ciao Finn, ciao a tutti i venti amici che albergano in me. Mi addormento. Inevitabilmente il pensiero corre al passato che non voglio più pensare. Mi risveglio con un mal di testa atomico. Venti e trenta. Dovrei proprio mangiare ma proprio non ci riesco. Un’idea, mangio una bella compressa di valium. Giro per casa nell’attesa di barcollare. Crollo sul letto. Inevitabilmente squilla il telefono ma io sono già via. Due ore. Poi la porta. Un’insistente tintinnio di campanello. Sono andato via, e pertanto questa sera porterai il tuo fiato micidiale in un altro letto. Sono andato via. Piano piano le luci scendono di intensità. Il silenzio si fa più sottile. Le palpebre si abbassanno definitivamente, almeno per oggi, sui miei occhi di vetri frantumati. I pensieri si fanno più rarefatti. Prima si sovrappongono e poi cominciano a danzare nella mi testa liberamente. I muscoli si distendono. Li sento abbandonare sulle lenzuola ogni forma di resistenza. La dimensione del tempo si fa più dilatata. E’ una sensazione splendida. Mi regalo un ultimo sorriso. Prima di chiudere il mondo fuori da me. Prima di abbandonarmi quel domani di cui non v’è certezza e che, ogni volta, mi auguro arrivi lentamente e, se possibile, un po’ in ritardo.