Tuesday, October 27, 2009

FANTASMA A TEXARKANA

Sono nato a Texarkana. Una terra di mezzo e di nessuno. Divisa fra Texas e Arkansas, nella contea di Bowie, trentaseimila abitanti. Sono nato a Texarkana. Il 23 febbraio 1946, il giorno in cui Jimmy Hollis e Mary Jeanne Larey vengono aggrediti da un uomo dal volto coperto da una maschera. Un uomo che ucciderà molte atre persone. Un uomo che non varrà mai arrestato. E' il fantasma di Texarcana. Niente paura. Da molto tempo qui, non accade più nulla. E comunque qui siamo un po' tutti fantasmi. Lo sono anch'io, che da sempre vivo nella mia casa di legno bianca dove hanno vissuto i miei genitori. Sono un uomo solo. Schivo e refrattario. Come tutti, a Texarkana. Evitiamo accuratamente di conoscerci. Nel mezzo del nulla è meglio star da soli. La carabina, è sempre pronta a salutare chiunque tenti di oltrepassare il confine delle cinquanta yarde dal perimetro della mia casa. A cinquante yarde esatte da casa mia vive Jack. Un altro fantasma. Solo da sempre. Soprattutto da quando molto tempo fa la moglie lo ha lasciato, da un giorno all'altro, per un altro uomo e per la Florida. D'altra parte Texarkana non è un posto per donne. Il sole di giorno brucia la pelle. La notte è un deserto silente, rotto soltanto dal sordo monologo di vecchi ubriachi. Di Jack non so altro. Non conosco neppure la sua faccia. Di giorno lui non esce quasi mai di casa e quando lo fa sembra un topo meccanico. Corre veloce e inciampa nei suoi passi. Non rimane all'aperto che lo stretto necessario alla sopravvivenza. Trattandosi di un fantasma, lo stretto necessario è pochissimo. Da almeno mezzo secolo, da sempre, io e Jack non scambiamo neppure una parola. Cosa ci dovremmo raccontare, vivendo entrambi in questa bolla di cinquanta yarde da cui non siamo mai usciti? Da cinquanta anni viviamo la stessa vita. In parallelo. Ci alziamo presto alla mattina. Costelliamo il giorno di quei pochi impegni che ci bastano a garantire la nostra sopravvivenza. E un sigaro per la sera, quando la torrida notte del west non dà alcuna possibilità al sonno. Non rimane nulla da fare, se non restare sul patio di casa, abbandonati su una sedia di vimini. A fumare e suonare. Io suono la chitarra da quando avevo tredici anni. Come molte altre cose, come quasi tutto, anche la musica l'ho appresa da mio padre. Accordi lenti. Melodie improvvisate. Musica destinata a perdersi nel tempo e nel buio. Perchè qui a Texarkana si suona unicamente per far passare il tempo. E per non pensare. Mica per vendere dischi o diventare famosi. Io suono per affrontare la notte. Per non pensare alla mia vita che è passata silenziosa e inconsistente. Per non affrontare il domani che, per un vecchio, è a ogni giorno sempre meno sicuro. Accordi lenti, melodie improvvisate che attraversano la notte e tutte le yarde del mondo. Anche Jack suona. Suona l'armonica. Di preciso nessuno di noi sa che faccia abbia l'altro. Non sappiamo neppure che voci abbiamo. Ma quando scende la sera suoniamo insieme. Suoniamo a lungo. Da lontano. Dal patio delle nostre case. A volte corriamo. Io accelero il ritmo. Lui mi viene dietro. Io accelero ulteriormente. Ficnhè uno dei due crolla. Qualche minuto si silenzio. Il tempo di un sorso di Bourbon. Poi si riprende. In pace. Con accordi lenti. Melodie appena accennate. Fino a quando, esausti, ci addormentiamo. Vorremmo non finisse mai. Finiamo solo quando abbiamo una ragionevole certezza di un'altra sera in cui tornare a suonare. In una tranquillità che non è una conquista nè una scelta ma il solo e unico modo di vivere qui. Perchè se c'è stata mai un'altra vita, un'altro "possibile" noi non l'abbiamo mai conosciuto e comunque non era per noi. Questa sera il tramonto è stato veloce. Quasi non me ne sono accorto. Come se Dio, annoiato da tanta inconsistenza umana, avesse imporvvisamente stovagliato un lenzuolo nero sulle nostre teste e fosse andato a dormire. Fa molto caldo. Un caldo innaturale. Mi sprofondo in quel buio e aspetto. Di solito, a cinquanta yarde da casa mia, c'è una finestra illuminata e una sagoma nera che, con movimenti lenti, la attraversa. Poi la luce si spegne. Dopo pochi minuti la sagoma nera scivola sulla sedia a dondolo. Perchè è arrivato il tempo di suonare. Questa sera la finestra di Jack è un quadro nero annegato nel nero. Aspetto. Prima tranquillo. Seguo le ampie volute del fumo del mio sigaro. Poco dopo vengo trafitto da una lama d'ansia. Aspetto nervoso. Poi decisamente inquieto. E insofferente. Perchè uno strappo del genere nella linea retta di cinquant'anni e cinquanta yarde non era mai accaduto. Aspetto, e l'aspettare si fa insopportabile. Cerco di scorgere un minimo movimento. Un segnale qualsiasi. Niente. La finestra di Jack è un quadro nero sepolto nel nero. Aspetto e l'attesa è lancinante. Una leggera fitta elettrica. Bevo un sorso di bourbon. Molti altri sorsi. Il tempo scorre e il perimetro delle possibilità è sempre più stretto. Il pensiero del domani diventa terrore. Questo silenzio è un sinistro frastuono. Ma è solo una sensazione e le sensazioni sono ingannevoli. Passano velocemente. Guardo la mia chitarra. Poi, piano piano mi abituo all'idea. Mi lascio invadere da una commossa quanto rassegnata malinconia. Che mi chiude la gola. Guardo la mia chitarra. Poi spengo la luce del patio e rimango silenzioso sulla sedia. Non ho nessuna voglia di suonare. Per suonare serve almeno lo straccio di un fantasma che ti faccia compagnia. Quando si è soli è meglio stare in silenzio. Perchè se smetto di esistere, se sono andato via, nessuno può farmi del male. Da solo, mi lascio sprofondare nella vertigine febbricitante. La vertigine di una notte spettrale. La notte dell'ultimo fantasma di Texarkana.

2 Comments:

Blogger johnbruno said...

BANG BANG BANG!!!
La mia Colt è pronta per esplodere altri colpi di immenso stupore

12:58 AM  
Blogger wabes said...

borderline:
i personaggi
la scrittura
la geografia

bellissimo!

6:51 AM  

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