Tuesday, October 31, 2006

STROBO - prologo

LA RAGIONE DEL MOTO PERPETUO

”Come essere se stessi”. L’imperativo del mio tempo. Come se ci fosse un metodo da imparare a scuola. E se uno è se stesso ma è una merda? Tanto vale fare piazza pulita e imparare ad essere altro. Facciamo l’esempio di Troy. Un ragazzo viziato e debordante di ego. Si dice sia morto ammazzato dalla ossessione celebrativa di se stesso. Non mi sembra una fine gloriosa. Prendiamo il suo migliore amico Finn. Vive come un bambino autistico. Solo e condannato all’isolamento. Come fosse morto e forse anche peggio. Potrei andare avanti così con una sfilza di persone che ad essere stessi, o meglio a cercare si essere se stessi hanno avuto solo da perdere. Costruendo castelli in aria più fragili della loro stessa vita. Morti sotterrati o sepolti vivi. Di loro nessuna traccia. Solo dei pallidi “si dice” o “hai saputo” che rimangono confinati al pettegolezzo di pianerottolo. Tanto che non mi viene neppure in mente di verificare se Troy sia davvero morto o se Finn lo stia seguendo nella tomba di li a breve. Per me sono comunque entrambi morti da tempo. Io al contrario ho fatto della confusione il mio stile di vita. In me si agitano almeno una ventina di me stessi. Come teatranti sul palcoscenico. Chi sono dunque io? E’ più facile definire ciò che non sono. Non sono Troy, tutto preso dalla sua smania di seduttore di periferia. Non sono neppure Finn, che nella puntuale ricerca del sentimento perfetto ha perso l’essenza del sentimento stesso. Sono come quei piccoli fasci di luce che all’interno di una discoteca ti abbagliano di splendore ma destinati ad un fascino effimero. Vincolati al momento. Destinati a svanire in un secondo. Il tempo procede e ingoia tutto ciò che ne rimane alle spalle. Nulla è eterno neppure nel ricordo. Per questo mi proietto nel futuro. Perfettamente conscio che dopo di me non rimarrà nulla. Tanto vale godersela. Pensare a se stessi e giocare. Giocare ad essere ciò che si desidera essere. E diventarlo davvero. E poi tornare indietro come quando da bambini si pescava la carta probabilità o imprevisti nella corsa all’arricchimento immobiliare di Monopoli. Alzarsi la mattina con la consapevolezza che c’è una vita da inventare. Non funziona? Bene è tempo di cambiare nuovamente. Paura di perdersi? Si perde solo qualcosa che si è trovato precedentemente. Impazzire? Succede lo stesso. Io sono circondato ogni giorno da persone che tecnicamente sarebbero da rinchiudere per il loro attaccamento alla coerenza. Che non è affatto una virtù. E’ solo un vano stare appesi a un punto fermo fissato nel vuoto. E poi che senso ha seguire una qualunque linearità, se segue la strada della pazzia? Guardo Troy, guardo Finn e mi annoia il solo guardarli. Io sono mobile, movimentato e dinamico.
Sono destabilizzato e pertanto destabilizzante. Il movimento è l’unica buona ragione per vivere una vita vera. Tutto il resto è merda. Come si può concepire ciò che rimane uguale a se stesso mentre tutto intorno si muove? E anche l’evoluzione non mi sembra quasi mai una buona idea. La rottura lo è. Rottura degli schemi, per sperimentare e sperimentarsi. Rottura delle convenzioni, per identificarsi nella differenza. Rottura della continuità, perché altrimenti si è sempre un po’ uguale a ciò che si era prima. E questo non va bene.
Certo non è semplice. Soprattutto per me che non sono più un adolescente. Ed è sicuramente poco allineato con la morale comune. Io la vita la rubo alla vita stessa. E ne pago il prezzo. La gente talvolta mi evita. Per alcuni sono scomodo. Per molti sono da manicomio. Non che mi importi granché. Se solo il mondo si osservasse, nella sua immensa ossessione di dare un ordine a ciò che è puro caos. Se solo il mondo cominciasse ad essere piuttosto che pensare di essere. Sono l’elemento di disturbo. Per questo sono solo. Non faccio nulla per piacere agli altri né per non piacere in genere. Lo trovo assolutamente normale (ammesso e non concesso che si voglia dare un senso al concetto di normalità). Io sono il mio show. Allegro e spensierato. Sono emozionante e assurdo come un quadro pieno di colori che fa girare la testa a chi cerca di avvicinarsi troppo. Cangiante e mutevole come ogni nuovo giorno che non è mai uguale a quello precedente. Sono il musical di me stesso, ed eccomi qua. La mia vita non è il televisore dalla luce azzurrognola che ha inghiottito Troy né il lento ed estenuante teleromanzo di Finn. Sono la mia tournèe. Adesso...è ora di alzare il sipario.

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