Sunday, February 04, 2007

STROBO - capitolo 3

LED

Dimentico. Il mio caos mentale annega nell’oscurità. Nel cercare di ricordare chi o cosa fossi prima dei miei trent’anni. Non riconosco che poche tracce. Quelle, le sole, che in fondo hanno contribuito a creare ciò che sono ora. E cioè uno sbando organizzato e pianificato. Una volta ero allo sbando e basta. Ero troppo giovane per sentirmi parte del mondo dei grandi e troppo vecchio per restare nel mondo dei ragazzi. Un po’ come Britney Spears. La vera e propria costruzione del mio mondo è cominciata allora. Un mondo dove la linea di confine della maturità era labile. La spostavo avanti e indietro a mio piacimento. E questo già era fonte di notevole fastidio per una società che sembrava gradire molto il valore della maturità.
Peraltro la mia vista frantumata era veramente debilitante. Non riuscivo a tenere lo sguardo fisso che per pochi secondi e questo mi impediva ogni tipo di concentrazione. Per questo motivo il mio corso di studi è stato enormemente lungo. Avevo bisogno di tempo. Fissavo le parole sui libri ma dopo un po’ si confondevano e cominciavano a roteare come satelliti nell’orbita della mia pupilla. Ogni pagina diventava un enigma da risolvere. Non potevo quindi sostenere il cadenzato ritmo degli esami che normalmente scandisce la vita degli studenti universitari. A questo si aggiungeva il fatto che, già allora, in me convivevano diverse vite. Allegramente contrastanti. Si agitavano, entravano in conflitto e si riappacificavano solo la notte quando i miei occhi strobo rimanevano fissi a cercare un po’ di riposo sul soffitto.
La mia vita tra i venticinque e i trenta è una sfilza infinita di polaroid confuse su un grande muro bianco.
Sono uno studente di giurisprudenza.
Sono un ragazzo serio.
Sono una puttana.
Sono il mio travestimento.
Sono tutto e niente.
Vivo di espedienti perché la vita stessa è un espediente. Difficile capire tanta complessità, ecco perché da subito ho sottratto la mia vita a tutti quelli che, per limiti propri, non avrebbero mai capito e mi avrebbero sottoposto a estenuanti e noiosi processi. Troy, Finn e tutti gli altri.
In quegli anni, ad esempio, la vita studentesca veniva allegramente coniugata con un’allegra prostituzione ai cessi della stazione e trovava sintesi pressoché perfetta in una parallela attività serale in un locale di quart’ordine. Mi travestivo e mi esibivo facendo l’imitazione di Patty Pravo, della Carrà e di tutte quelle “divine” per cui un certo tipo di umanità andava letteralmente pazzo.
Un ragazzo “fuori luogo” destinato a morte precoce o perlomeno ad una vita alla deriva. Apparentemente lacerato da mille frustrazioni che esistevano solo nel giudizio degli altri. Altri che, peraltro, al più non conoscevano che una piccola percentuale di ciò che realmente ero. Bene. Sono ancora vivo. La deriva è il mio orizzonte e oggi come allora sono felice. O perlomeno sono molto più felice di coloro che normalmente si definiscono tali.
Oscillazioni perpetue.
Disordini e sollazzi neanche tanto a buon mercato.
Cinquantamila lire a pompino e centomila a esibizione. Cinquecentomila a settimana. Niente male. Trovavo pure il tempo per scopare con le donne. Nascondevo accuratamente parrucche e trucchi ma senza neanche troppa attenzione in quanto negli anni 80, chi più e chi meno, uomini o donne facevano tutti uso di make-up. D’altra parte ciò che la natura mi aveva tolto attraverso il mio handicap visivo mi era stato reso in termini di potenza sessuale. Facevo naturalmente uso di droghe: in questo ero assolutamente un ragazzo come tutti gli altri salubremente innamorati della cocaina. La pozione magica di Obelix che mi aiutava a stare sveglio e, singolarmente, a cazzo duro. Mi aiutava a definire meglio i miei personaggi e le mie personalità. A vestirle e a truccarle. Ragazzo perbene fino alle dodici, supermacho da fronte del porto nel pomeriggio, divina creatura la sera, playboy di periferia la notte. Disturbante e disturbato per ventiquattrore al giorno. In fondo non era che il mio istinto finalmente liberato. Liberato da tutti quegli assurdi tentativi che mi erano stati imposti in epoche precedenti per cercare di incanalare ciò che inevitabilmente non poteva essere soggetto a controllo. Tantomeno poteva essere sottoposto alla legge degli uomini. Ero “vietato ai minori”, proibito e pertanto quanto mai ambito. Si potrebbe dire che ero trasgressivo ma questa parola mi dà il vomito. Talvolta mi è capitato di essere fermato da poliziotti preposti a difendere le buone maniere dei pisciatoi ferroviari. Mi chiedevano i documenti e li chiedevano al mio occasionale partner. Partiva la solita ramanzina con la minaccia - neppure troppo velata - di raccontare tutto alle rispettive famiglie. Risultato. L'occasionale compagno in cerca di emozioni si dava alla fuga in preda a crisi di panico.
Al contrario, io non avevo paura di nessuna delazione visto che la mia famiglia era formata da me e dalle molteplici personalità che assistevano in diretta allo show. D’altra parte se bisogna mettere il sassolino della condanna sul piatto di un cinquantenne in calore o su quello di un povero venticinquenne secondo voi dove pende la bilancia della pudica morale cattolica? Io mi pagavo l’università e fortunatamente ciò - sempre per la morale comune - è più nobile che pagare il proprio appagamento sessuale. A un certo punto fui costretto a darmi una calmata. Attenzione, non mi sono mai calmato. Ho solo effettuato una leggera frenata. La gente a volte ha voglia di menar le mani. Troppo spesso. Quindi, dopo essere stato pestato per ben tre volte dalla santa ragione dell’ipocrisia borghese ho valutato l’opportunità di agire in modo più discreto. Continuando la mia attività di mercimonio del corpo in privato, tramite annunci sul giornale e visite a domicilio.
Se si decide di vivere in un universo parallelo in qualche modo è necessario difenderlo.
Dimentico. Fortunatamente dimentico. Ricordo solo i sommi capi della mia giovane vita. Non riesco a collocarli in una frazione di tempo perché per me il tempo è relativo e risucchia tutto al suo interno come in un buco nero. Tento di andare indietro e di tracciare il percorso della mia vita, ma più mi addentro nel bosco più la nebbia si fa fitta. Del mio passato di ragazzo non resta che un cassetto di fotografie sparse e sbiadite. Per questo da qui in poi, e me ne scuso, il mio racconto procederà in modo disordinato, senza alcuna logica consequenziale. I frammenti che ne affiorano non è neppure detto che siano i più importanti. Ricordo ad esempio di essere stato sorpreso una volta da Finn, o forse era Troy, mentre rendevo felice un anziano signore ai cessi della stazione. Una fuga di sguardi alla ricerca di un alibi collettivo. Perché io mi vedevo nello sguardo dell’altro e allo stesso tempo provavo l’imbarazzo che l’altro provava per me. Ma forse era solo un sogno. Non so se è da li che i due sparirono dalla mia vita o se semplicemente si disintegrarono nel fiume del tempo che scorre cancellando ogni traccia. Pensavano forse che fossi gay e non si erano accorto che, oltre e non essere gay, ero comunque molto più deviante di una banale scelta omosessuale. Ma esistevano gli analisti a dire ciò che era e ciò che non era. Credo che più o meno in quel tempo fossi anch’io assoggettato alla santificazione settimanale dell’io freudiano. E allora eccoli tutti li a darsi un gran da fare per me. A tentare di capire se fossi omosessuale latente o eterosessuale in fieri. Retaggio familiare. Terapia per genitori che dietro il confessionale freudiano trovano espiato ogni senso di colpa. Durò più di quattro anni il mio rapporto con il lettino. Da quegli anni passati ad inventare i sogni che NON facevo unicamente per compiacere l’ansia terapeutica del mio analista (si doveva pur guadagnare da vivere) ho imparato solo a perfezionare la mia capacità di confondere meglio i contorni fra realtà e fantasia. A un certo punto riuscivo a convincermi di tutto ciò che mi passava per la testa frullando realtà, sogni mai sognati e vite mai vissute. Non saprei dire se tutto ciò fosse fonte di sofferenza per me. Non credo. D’altra parte la vita inventata è tutto ciò che serve per rimanere vivi in un mondo di morti.
Però credo sia stato un periodo in cui mi emozionavo. Mi emozionavo tanto.
Troppo. Reazione alla fredda razionalità che spesso sfociava in pianti da pessimismo cosmico.
Pertanto, quando la messa del giovedì sera dallo psicanalista terminava e mi lasciava in preda a deliri incontenibili entrava in azione un esercito di soldatini che si chiamavano Lexotan, Librium, Valium, Ansiolin e Tavor. Soldatini che in fila indiana marciavano direttamente nel mio cavo orale per regalarmi il paese delle meraviglie. Spesso, un po’ per la mia vista, un po’ per le dosi massicce di psicocandies nemmeno riuscivo ad alzarmi al mattino ma stavo li ore ed ore a fissare al soffitto. Un po’ come sta accadendo ora. Talvolta questo stato mi restava addosso per tutto il giorno. Guardavo il soffitto e poi le nuvole che passavano attraverso la stanza, il vento forte e il primo tepore di primavera. Gli angeli dell’apocalisse e subito dopo una luce fortissima e sonora. Poi la calma. Il cielo tornava terso e gli occhi si perdevano nuovamente nel candore del soffitto appena velato da ataviche ragnatele frutto del mio altrettanto atavico disordine. Giorni interi regalati all’immaginazione psicotropa. Un po’ come ora, con la unica differenza che forse non ci sono più i soldatini e se ci sono ancora non li riconosco certo come tali. Dico forse. Perché spesso le mie azioni sono diventate talmente meccaniche che neppure me ne rendo conto.
A quel tempo, il mio mondo inventato mi serviva a sfuggire dall’abbraccio strangolatore della famiglia. Di un padre che non sapeva essere tale, da cui ho appreso solo un’irrefrenabile passione per il sesso. Mi aiutava a digerire una madre, che non era neppure la mia e che spendeva i suoi giorni in un eterno pianto alla ricerca di un amore negato “ab origine”. Con questo non voglio piangermi addosso, passare per vittima o tantomeno per eroe. La follia è il rifugio più sicuro per sfuggire alla folle normalità.
Ti permette di essere altrove. Di non curarti di tuo padre che se la fa con tutte quelle che gli passano per le mani e di tua madre che piange perché è l’unica che non riesce a farsi tuo padre. Il fatto che tu ci sia o meno diventa quindi un corollario nemmeno troppo importante e questa è libertà di crescere, vivere, morire e rinascere come cazzo ti pare. Perché tutto va come deve andare e l’assenza di qualsiasi rete di protezione è la vera opportunità di essere. Potresti anche cagare nel letto dei tuoi e va bene così. Perché così dovrebbe crescere ogni uomo che in fondo, sotto tutti gli orripilanti orpelli dell’educazione, non è poi così differente da un cane.
In fondo a vent’anni l’unica cosa che conta davvero sono i soldi e quelli – grazie al cielo - non sono mai mancati. Già i miei pagavano salati i propri sensi di colpa e le loro frustrazioni. Se non bastavano c’era la mia fantasia: con i miei occhi stroboscopici non era difficile simulare la necessità di urgenti, frequenti e salate visite specialistiche. Se poi, anche la medicina non fosse stata sufficiente a sanare il budget il cazzo, mio unico e leale amico, mi sarebbe sempre venuto prontamente in soccorso.
La scuola prima, l’università dopo sono stati sempre il solo pegno da pagare. Erano le cartine tornasole dell’integrazione sociale. Presenti una pagella decente e nessuno ti rompe i coglioni anche se te ne vai in giro con i capelli verdi e un teschio disegnato sul culo. D’altra parte per uno che nasce con due specchi rotti al posto degli occhi qualche stravaganza non è certo un gran male.
E non è certo nel mio DNA barcollare tra gente che sussurra parole pietose a sottolineare il tuo handicap. Se sei diverso è importante che tu lo faccia vedere. Fa che diventi la tua bandiera da sbattere in faccia al conformismo. Sei stato preso per il culo dal mondo. Bene, è il momento di cominciare a prendere per il culo il mondo a cominciare da te stesso. L’imperativo della mia adolescenza. La legge di sopravvivenza successivamente, la regola di vita ora. Anche ora.
Ancora adesso che, almeno virtualmente, sono un uomo.
Un uomo che perde le ore della sera a guardare il soffitto.Un uomo che forse sta ancora aspettando i soldatini mentre fasci di raggi laser partono dai suoi occhi per riempire di stelle elettroniche il cielo di calce della sua stanza.

1 Comments:

Blogger Marco Antonio said...

Anche io, sovente, ho come l'impressione che il passato sia un enorme buco nero che si inghiotte i miei ricordi pur non avendo una vita così allucinante e caleidoscopica come quella da te raccontata.
Con veemenza infilo il cottonfioc nel mio orecchio destro e spingo dentro le sensazioni e le esperienze di tutti i giorni; peccato che dall’orecchio sinistro fuoriescano i ricordi.


“…Pensavano forse che fossi gay e non si erano accorti che, oltre e non essere gay, ero comunque molto più deviante di una banale scelta omosessuale…”
Sono dubbioso; questa tua frase è una “finezza” perché simula un punto di vista miope ed eterosessuale oppure una grossolana “imprecisione” ?
Nessuno sceglie di preferire il melone all’anguria.

1:04 AM  

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