Tuesday, October 07, 2008

L'ULTIMO PENSIERO E' PER IL NEMICO

Caro Ariberto, quella mattina di alcuni anni fa in cui il nostro amministratore delegato ci ha presentati non mi sei piaciuto. Per niente. Perchè saresti diventato il mio capo. Perchè quel posto, in fondo, pensavo dovesse toccare a me. Con tutti gli sforzi che avevo fatto e tutte quelle sciocche illusioni che costellano la grigia vita dell'ufficio. Non mi sei mai piaciuto. Non ci siamo mai piaciuti. Ti vedevo - l'arroganza è una lente davvero distorsiva - così goffo e inadeguato al tuo ruolo. In fondo godevo quando alcuni clienti rinnegavano la tua presenza e preferivano me. Non sono mai riuscito a fidarmi di te, neppure quando la tua inossidabile fede cattolica ti portava a gesti di generosità che per me erano solo un fastidioso trionfo d'ipocrisia. Non ho mai remato contro ma ho vissuto per quasi due anni la consapevolezza che tra noi c'erano distanze incolmabili. Però abbiamo condiviso molto. Ricordo una notte in cui abbiamo fatto chilometri a piedi sotto la neve perchè avevamo finito tardissimo un progetto e non ci eravamo accorti che, nel frattempo, Milano era un enorme deserto bianco senza possibilità di accesso ad alcun mezzo di trasporto. Ricordo i nostri viaggi di lavoro dove a un certo punto le resistenze crollavano sotto il peso degli alcolici e, tolte le divise da soldatini, rimanevano due uomini che biascicavano parole in libertà. Ricordo i tuoi imbarazzi, le tue difficoltà per te, così drammaticamente bianco o nero, a capire me, che vivo di infinite complessità. Ricordo il giorno in cui ti ho detto che avrei lasciato l'azienda di cui tu nel frattempo avevi preso la guida perchè non condividevo la tua visione. E questa franchezza ancora oggi lo considero un grande atto di stima e onestà nei tuoi confronti. Sicuro che non l'avresti capito a tal punto che, tutte le volte che ti ho incontrato successivamente, trovavo assurdo che tu mi chiedessi di tornare a lavorare con te. D'altra parte al tuo essere sempre irrimediabilmente inopportuno in qualche modo avevo fatto l'abitudine. E una volta sgombrato il campo da ogni rivalità mi fermavo comunque a parlare con te. Perchè la saggia realtà spesso ci costringe a superare gli egoismi. Perchè, fortunatamente, siamo incoerenti e relativi. Perchè l'aver condiviso un pezzo di vita a volte rende le persone vicine contro ogni ragionevole probabilità. Ti ho incontrato spesso, in questi anni. L'ultima volta un paio di settimane fa. Era domenica, io stavo guidando la mia auto e tu eri per strada, con la tua famiglia mentre probabilmente ti stavi preparando per il rito calcistico domenicale. Questa volta non mi sono fermato. Non ne ho avuto voglia. Ho rallentato ma sono partito quasi immediatamente, rituffandomi nei mille pensieri di una noiosa domenica autunnale. Avrei potuto dirti che ero felice, che stavo affrontando una nuova avventura professionale. Ma era domenica e non ne avevo voglia. Mai avrei pensato che poco dopo a parlarmi fosse il tuo corpo morto e gettato in un seminterrato poco lontano da quella strada in cui ti avevo visto. Oggi leggendo la tsunami di notizie, presunzioni e illazioni sulla tua morte mi sono fatto tante domande: tutte irrimediabilemte cadute nel vuoto. Il morboso e odioso cinismo dei media già insinua che tu abbia concluso i tuoi giorni tra le braccia di una prostituta. Mi auguro che sia davvero andata così. E che tu abbia vissuto l'orgasmo più intenso, felice e bello che ogni uomo possa mai desiderare. Prima di volare via ormai incurante di quell'inutile, esausto ed esanime corpo nel seminterrato.

2 Comments:

Blogger Stoney said...

Non capendo se fosse un racconto o meno, ho indagato: è una storia tragicamente vera.
Molto Six feet under.
Spero che il giorno in cui lascerò questa valle di lacrime, qualcuno mi dedichi un pensiero altrettanto intenso. Ovunque sia volato Ariberto (ammesso che si voli una volta lasciata questa sfera; andrebbe benissimo anche camminare, considerato quanto ci tocchi strisciare qui), spero apprezzi.

1:50 PM  
Blogger Pier Lodigiani said...

Purtroppo è una storia vera. Di quelle che tolgono il respiro.

3:33 PM  

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